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Scacco matto all’Intelligenza Artificiale

da | 22 Mar 2021 | Blog

L’essere umano ha cercato di definire il suo rapporto con le macchine sin dalla loro apparizione; quando lo sviluppo e la diffusione dei computer è diventata inarrestabile, è subentrata a livello inconscio la paura che forse nel futuro ci avrebbero rimpiazzato, assumendo il controllo della nostra vita. Non deve sorprendere, quindi, che appena ce ne fu la possibilità si cominciò a parlare di una sfida a scacchi tra un essere umano e un computer.

I giochi sono stati usati da sempre dalle società umane come strumento per la crescita fisica, emozionale e mentale, ma nessuno è riuscito a farlo come gli scacchi. Questo gioco è una battaglia tra due menti, che richiede la voglia di competere e il desiderio di vincere usando il nostro cervello: pensare e allenarci a pensare in maniere differenti per adeguarci alla situazione che si presenta durante una partita.

Garry Kasparov nel 1985, all’età di 22 anni, era diventato il campione mondiale di scacchi battendo Anatoly Karpov, il mio idolo, dando inizio a un lungo regno che durò più di un decennio. Poco prima di vincere il titolo, Kasparov aveva giocato in una simultanea contro trentadue macchine in grado di giocare a scacchi tra le più forti al mondo.

Il rappresentante dell’umanità vinse tutte le partite, anche piuttosto facilmente. Non fu una sorpresa: le macchine erano ancora troppo deboli. Dodici anni dopo, Kasparov si trovò a  combattere per la sua e la nostra sopravvivenza  contro  un solo computer in un match che il settimanale Newsweek definì “La sfida definitiva dei cervelli”, giusto per togliere ogni tipo di  pressione al campione russo.

Da Turing a Deep Blue

Il computer Deep Blue era stato sviluppato dal settore ricerca della IBM a partire dagli anni 90 con il contributo del gran maestro di scacchi Joel Benjamin, che costruì il database delle aperture da dare in pasto alla macchina.

Ma cosa c’era di innovativo in questo progetto? Assolutamente nulla! Già 70 anni fa c’era un grande dibattito tra i fondatori della AI sul tema degli scacchi. Turing nel 1952 aveva sviluppato un programma in grado di giocare a scacchi o, meglio, si limitò a giocare  una sola partita eseguendolo manualmente, istruzione dopo istruzione, dato che non esisteva ancora un computer in grado di eseguirlo. Nel 2012, quella macchina venne costruita nell’ambito delle iniziative per ricordare Turing e giocò proprio contro Kasparov perdendo dopo poche mosse. 

I padri fondatori della AI credevano che la maniera in cui le macchine dovessero giocare a scacchi fosse attraverso la comprensione della posizione e non attraverso la forza bruta di calcolo, ma ogni tentativo di raggiungere questo risultato fallì miseramente e ci si arrese quindi all’idea che la forza bruta fosse l’unica strada possibile. Nella sua seconda versione, Deep Blue  era in grado di valutare 200 milioni di posizioni al secondo, ma dal punto di vista dell’intelligenza artificiale era come una super sveglia elettronica o un qualsiasi dispositivo elettronico:  un qualsiasi programma in grado di giocare a scacchi su uno smartphone di fascia media oggi sarebbe in grado di fare meglio.

La sfida con Kasparov

Ci  furono due match tra il campione e Deep Blue. Il primo match iniziò il 10 Febbraio 1996 e si concluse dopo sette giorni. Alla fine Kasparov vinse col punteggio di 4-2 ma tutti ricordano l’esito della prima partita: Deep Blue vinse in 37 mosse: il dado era tratto.

Kasparov ha ammesso diversi errori nella sua preparazione al match e oggi ritiene che fu del tutto inadeguata. Il principale fu che non trattò Deep Blue come un qualsiasi altro giocatore umano: quando si scontrò con Karpov, ad esempio, sapeva tutto del suo avversario e in particolare conosceva tutte le sue partite giocate negli ultimi anni. Invece, in questo caso, non c’era nessuna partita giocata e documentata dalla macchina contro altri esseri umani. Era una scatola nera del tutto ignota all’essere umano. IBM piegò le regole sancite nel contratto a proprio favore: una leggerezza da parte di Kasparov che poi gli fu letale nel 1997.

Ad esempio, l’operatore umano di fronte a Kasparov era collegato attraverso un terminale a Deep Blue, che si trovava in una sala inaccessibile ai media e senza telecamere. Oggi sappiamo che Deep Blue crashò diverse volte, perdendo così ogni possibile log delle sue attività  durante quelle partite: fu necessario riavviarlo e fornire la posizione precedente.  Se il nostro avversario durante  una  partita reale  avesse un infarto, verrebbe portato in ospedale e noi vinceremmo la partita per forfait!

Tra il primo e secondo match, quello che era un semplice progetto di ricerca divenne una questione di vita o di morte per la multinazionale che si era trovata al centro dell’attenzione mondiale. Gli investimenti furono ingenti e il secondo Deep Blue che si scontrò con Kasparov  era molto più potente del primo: ancora una volta un avversario del  tutto sconosciuto. Psicologicamente, il campione russo cominciò a crollare, vedendo complotti ovunque: il risultato fu di 3-5 a 2-5 per la  macchina.

Il vero risultato

Da quanto abbiamo detto prima, il risultato non è l’aspetto più importante. Era inevitabile che  sarebbe arrivato presto il giorno in cui la potenza di calcolo bruta di una macchina avrebbe avuto la meglio su un campione  di scacchi umano. Anche cambiando le condizioni al contorno, l’attuale campione del mondo (Carlsen) non avrebbe nessuna chance contro un computer: il livello di precisione richiesto sarebbe troppo alto per un essere umano.

Deep Blue, nonostante la vittoria, non aveva fornito nessuna soluzione al mistero dell’intelligenza umana: era “solo” riuscito a calcolare 200 milioni di mosse al  secondo.  Anche per questo motivo, grazie soprattutto alla diffusione di Internet, l’essere umano ha continuato a giocare anche più di prima a scacchi, nonostante le previsioni più catastrofiche.

C’è una frase molto bella, pronunciata proprio da Kasparov, secondo cui dobbiamo superare le nostre paure se vogliamo ottenere il massimo dalla nostra tecnologia e, allo stesso tempo, tirare fuori il meglio della nostra umanità. Non ci deve sorprendere, dunque, che il maestro russo, si leccò le ferite di quello scontro e tornò a lavorare sul tema dell’intelligenza artificiale applicata agli scacchi.

La sua idea fu semplicemente geniale: invece di insistere a scontrarci con un computer, perché non giochiamo assieme, combinando le nostre forze, contro un’altra coppia uomo-computer? Mettendo assieme l’intuizione umana e la potenza di calcolo della macchina? A che scopo, vi chiederete? Abbiamo tutta la forza bruta di calcolo che ci serve. Pensate invece, solo per un attimo, a quante di quelle 200 milioni di mosse al secondo fossero del tutto inutili, pura spazzatura combinatoria. Se riuscissimo a guidare con la strategia umana la tattica della macchina, e con la nostra esperienza la memoria del computer, otterremmo risultati sicuramente migliori. 

La legge di Kasparov

Nel 1998, l’idea si concretizzò in un match chiamato Advanced Chess, dove i partecipanti erano  Kasparov e Fritz-5 contro Topalov e ChessBase 7.0.

I risultati di quel match non furono entusiasmanti ma anche in quel caso indicarono una nuova strada da percorrere che trovò un motore di diffusione formidabile come Internet. Nel 2005 fu organizzato un torneo cosiddetto free-style secondo le stesse regole e lì ci fu una scoperta che è il vero motivo per cui vi ho raccontato questa storia. Al torneo parteciparono diversi gran maestri e il meglio delle macchine in grado di giocare a scacchi ma i vincitori non furono né i gran maestri né un supercomputer. I vincitori furono una coppia di scacchisti dilettanti che operavano su una rete di 3 PC ordinari. L’abilità di guidare le loro macchine ebbe la meglio  sulla conoscenza scacchistica e potenza di calcolo degli avversari.  Questo risultato  ha dato spunto a  quella che è nota oggi come  Legge  di Kasparov:

Un uomo “debole”, più una macchina, più un processo migliore, sono superiori a una macchina molto più potente lasciata da sola e, soprattutto, a un uomo forte, con una macchina e un processo inferiore.

Ma cosa  intendiamo qui per processo? Possiamo pensare ad esso come a un protocollo che stipuli come un operatore umano può interagire con le macchine e supportarle. Come ci racconta Kasparov: “Abbiamo bisogno di interfacce migliori che ci aiutino ad allenare meglio le nostre macchine verso una intelligenza più utile”.

Garry Kasparov  ha raccontato la sua storia in un libro chiamato “Deep Thinking: Dove finisce l’intelligenza artificiale, comincia la creatività umana, ve lo consiglio caldamente.

Su YouTube, invece, troverete numerosi suoi interventi, ad esempio qui:

 ma è imperdibile la prima partita del match del 1996:

Conclusioni

Supponiamo di trovarci di fronte un testo scritto in una lingua a noi sconosciuta e passiamolo  a uno strumento di traduzione online. Sappiamo tutti che il risultato non sarà perfetto ma useremo la nostra esperienza umana per estrarre un senso  da quella frase. Questo è un modello che si sta diffondendo sempre di più anche perché la macchina, grazie a noi, può imparare dai suoi errori. Basta ricordare sempre come un mantra che: “le macchine  eseguono calcoli, ma noi abbiamo la comprensione; le macchine seguono istruzioni ma siamo noi ad avere uno scopo; le macchine sono obiettive ma noi abbiamo la passione”. E lo dico anche perchè i futuri distopici hanno un po’ stufato.

Continuate a seguirci!

Scritto da

Scritto da

Salvatore Sorrentino

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